Salve a tutte, tutti e tuttu, io ho 20 anni e sono una persona non-binaria. L’etichetta specifica in cui mi identifico è genderfluid, ma uso non-binary e genderfluid in maniera intercambiabile.
Ho scoperto l’esistenza delle persone e delle identità non-binarie più o meno del 2015 grazie a social come YouTube e Tumblr – sì, lo so, molto clichè da parte mia, ma penso che Tumblr abbia aiutato molta gente della mia generazione a scoprire la propria identità. Per quanto il sito venga ancora oggi denigrato, spesso per delle buone ragioni, credo sia stato per molt* ragazz* introvers* come lo ero io uno spazio sicuro in cui esplorare la propria identità di genere.
Leggendo la definizione del termine e ascoltando le storie di ragazz* della mia età che si identificavano come non-binary (o qualsiasi altra identità appartenente a quello spettro), mi resi conto di quanto riflettessero i miei pensieri sulla mia identità, quindi cominciai a dire ai miei amici che usavo i pronomi they/them in inglese e che mi identificavo come agender.
Quel periodo durò incredibilmente poco, però, perché nel 2016 partì la mia fase di estrema negazione della mia identità di genere. In quell’anno, cominciò a diventare trendy l’insultare la gente come me: adolescenti grassottelli con i capelli colorati che credevano nella giustizia, non rientravano nel binarismo strettamente imposto dalla società ed erano apertamente loro stess*. Le parole “snowflake” e “transtrender” erano sulla bocca di tutt*, la mia misoginia internalizzata era alle stelle e non sapevo mettermi l’eyeliner.
Odio doverlo dire, perché credo che ormai questo fenomeno sia così comune da essere uno stereotipo, ma penso che questo periodo di negazione fu inaugurato dal video di uno youtuber americano: Kalvin Garrah. Il suo video era intitolato “Trans Guy reacts to CRAZY Transtrender”, un quarto d’ora di puro cyberbullismo che divenne virale, in cui Kalvin non faceva altro che insultare una persona non-binaria, svalutando la sua esperienza e la sua identità di genere.
Ciò che quella persona diceva in quel video, era incredibilmente simile a ciò che io provavo, ma dato che Kalvin era quello che sembrava più “normale” ho creduto alle sue parole e ho cominciato ad ignorare la mia disforia – io non ero come quei matti con i capelli colorati che credevano in stronzate come i nonbinary e i genderfluid, ci sono solo due generi e io sono una donna perchè mi piacciono le gonne e le storie d’amore, e poi nessuno le capisce quelle cose lì.
Credevo che quella breve fase da agender fosse solo una questione di misoginia internalizzata, una scusa per sentirmi speciale e “non come le altre ragazze”. Continuavo ad odiare il mio seno, continuavo ad odiare come mi venisse detto che avevo un corpo da vera donna – ma non ero un ragazzo trans, non volevo prendere gli ormoni e mi piaceva indossare la gonna – non potevo essere altro che una ragazza cis che, come un po’ tutte, si sentiva a disagio con gli ideali patriarcali che venivano imposti su di lei. Insomma, ero un po’ un* mezz* terf e non avevo manco bisogno di leggere i tweet di JK Rowling.
Cominiciai a tenere nuovamente in considerazione l’essere non-binari* soltanto all’inizio del 2020, poco prima della pandemia. Nel 2019, avevo finalmente iniziato a liberarmi di tutta quella transmisoginia internalizzata e a vedere le persone trans e non-binarie che non erano “nella norma” come gente normalissima la cui identità era valida al di là della loro presentazione e da lì capii che potevo essere non-binari* anche con i capelli lunghi, la minigonna e 35 kg di trucco. Cominciai con l’utilizzare i pronomi she/they in inglese ed il femminile in italiano, che presto divennero they/she per finire con they/them.
Purtroppo, ho fatto coming out con veramente poca gente – ok, ho i pronomi nella bio di Instagram, Twitter e TikTok, ma nessuno se le legge, quindi per me non conta come un vero e proprio coming out. La maggior parte delle persone che è al corrente della mia identità non-binaria la accetta senza troppi problemi, e di questo sono molto felice, ma ciò non significa che non abbia sentito delle rimostranze.
“Ma lo sai che ci sono problemi più importanti vero? Non dici su Tinder che sei nonbinary, vero? Fossi stata un ragazzo trans lo avrei capito di più”
Forse sono troppo sensibile, ma sono parole come quelle che mi fanno avere una gran paura di essere apertamente e fieramente genderfluid. Non ho fatto coming out con i miei genitori, e ogni volta che mi sento dire: “Sei così femminile, che tu lo voglia o no, sei una così bella ragazza”, ho una gran voglia di vomitare, ma la paura di non essere compres* è più forte della mia felicità.
Nonostante la mia sicurezza nella mia identità, il peso di dover spiegare e avere un dibattito sulla validità della mia esistenza ogni volta che parlò del mio essere non-binar* non è qualcosa che voglio avere costantemente sulle mie spalle. Credo che la cosa più deprimente in tutto questo sia che, nel caso in cui facessi coming out con i miei genitori, farei di tutto per rendere la mia identità di genere più sopportabile.
Gli direi: “Sì, in inglese uso il neutro, ma voi potete usare il femminile, potete ancora dire ‘mia figlia’, in italiano il neutro nemmeno esiste, potete ancora vedermi come una ragazza perché quello sono negli occhi degli altri”, tutte quelle cose mi metterebbero a disagio e mi farebbero stare male, ma a quanto pare a me importa di più il comfort dei cishet che la mia felicità perché “è difficile anche per loro”.
Dico ai miei amici di essere loro stess* sempre, fregacazzi di quello che dicono gli altri, ma forse sono ipocrita a dirlo, perché io continuo a vivere in un armadio che, considerando il fatto che si vede lontano un chilometro che sono queer, è di vetro.
Magari quel* sedicenne che insultava quei coetanei additati come piagnoni delicati come dei fiocchi di neve non è mai andat* via e si è trasformat* in quella vocina che dice che è meglio nascondersi perché la sua identità è troppo difficile da capire.
Vorrei poter raccontare una storia più entusiasmante di questa, magari una storia con un lieto fine di estrema accettazione della mia identità o una tragedia greca con dei gran alti e bassi, ma purtroppo non è così – sono una persona che è già tanto se esce di casa, quindi credo sia normale che la mia storia sia un po’ noiosetta.
Per concludere con un po’ di allegria, vorrei parlare di come quei pochi amici che ho mi abbiano sempre sostenut* nel mio percorso. Sia in inglese che in italiano, hanno sempre rispettato i miei pronomi, non hanno mai esitato a chiedermi quali termini potessero mai farmi sentire a disagio e non hanno mai denigrato o preso poco seriamente la mia identità al di là di qualsiasi etichetta stessi utilizzando in quel momento. Senza di loro, credo che sarei ancora pien* di odio nei confronti di me stess* e probabilmente starei ancora negando a me stess* la mia identità. Magari la mia storia non è delle più allegre, ma credo che il supporto dei miei amici sia più importante della mia disforia o qualsiasi cosa che mi sia mai stata detta per svalutare la mia identità.