“Ciao,
Io mi chiamo Elliot. È la prima volta che ti parlo direttamente io e così apertamente, ma è arrivato il momento che tu mi
conoscessi.
Scriverti questa lettera non sarà semplice, né per me, né per te.
Sono una piccola persona nata ormai qualche tempo fa, in una famiglia di un piccolo paesino in mezzo alle campagne.
La mia infanzia non è stata sempre facile, ma posso dire di essermela cavata bene, nonostante abbia ancora alcuni traumi che mi perseguitano la notte, nei momenti bui e soli. Credo e spero di essere stata una persona con dei valori sani e principi ben stabili (e per questo devo ringraziare parte delle persone che mi hanno cresciuto).
Tra lo studio, la lettura ed il tempo passato con quelli che allora erano i miei amici, ho attraversato le fasi della crescita e
maturazione, per poi ritrovarmi nel mondo degli “adulti”, pieno di responsabilità e scelte. Ho fatto i miei errori, ma
anche cose giuste e cose di cui non mi pentirò mai.
Poi ho conosciuto una persona. Una tra le più importanti della mia vita. Una delle poche ad aver creduto in me in qualsiasi momento. Ho passato momenti indimenticabili con lei, tra le cavolate e gli scleri dovuti allo studio. E grazie a lei ho avuto modo di maturare ulteriormente.
E grazie a lei ho potuto fare un passo avanti nella mia vita.
Questo passo mi ha portato ad inciampare in un’altra persona che subito è diventata importante per me, una persona con la quale poi ho deciso di dividere tutto quello che avevo.
Più il tempo passava e più, grazie a queste due persone, ho capito molte cose di me e ne go scoperte tante altre. Come il fatto che mi piacciono da morire le serie TV, i videogiochi, lo spritz e le donne.
Grazie a loro ho capito il mio orientamento sessuale.
Grazie a loro ho potuto fare pace con un lato di me che era sempre esistito, ma io avevo sempre ignorato.
Grazie a loro ho potuto proseguire il mio viaggio a cuore libero, capendomi sempre di più e capendo che “Bi” non vuol dire due, e che ci sono molti più generi.
E sempre grazie a loro ho capito un’altra cosa.
Sul mio certificato di nascita, sotto la voce “sesso”, c’è scritto “Femmina”.
Stessa cosa su ogni mio documento.
Ma non è quello che io sono. Io non sono Femmina. Io non sono Donna.
Lentamente e con dolore un giorno finalmente ho capito questo.
Ho iniziato quindi a cercare di capirmi meglio, a cercare di identificarmi. Per un breve periodo ho pensato quindi che in tutti quei documenti sarebbe dovuto esserci scritto “Maschio”. Per pochi istanti ho pensato di essere Uomo. Ma un giorno, uno dei più dolorosi mai passati, ho capito che non ero neanche quello.
Ero a lavoro quando ho realmente capito che non esistono unicamente due generi, ma ve ne sono di più. E realizzato ciò ho pianto.
Il peso che mi sentivo al petto finalmente si era dissolto. Io finalmente sapevo chi ero.
Ciao, sono Elliot.
Ormai quasi 27 anni fa, in un lunedì freddo e con la neve (o almeno così c’è scritto nel mio libro), tu mi hai partorito.
Quel giorno mi hai visto per la prima volta e mi hai stretto a te con amore. Due anni fa, quando ti dissi che ero bisessuale, hai fatto lo stesso gesto, con altrettanto amore. Oggi però non puoi farlo. Una pandemia ci impedisce di essere insieme in questo momento, e mi impedisce di parlarti fisicamente, apertamente e con il cuore in mano, difronte a te. Ma spero che quando potremmo rivederci tu possa ancora abbracciarmi con lo stesso amore di sempre.
Ti voglio bene.
Tu* figli* Pamela Elliot Pieralisi”
Scrissi questa lettera a mia madre come regalo di Natale per entrambə.
Era il 2020 ed eravamo in piena seconda ondata.
In quel periodo avevo addosso un carico di stress enorme a causa del lavoro e il sapere di non poter tornare a casa per le feste mi stava mentalmente distruggendo. Inoltre, era un periodo in cui la disforia mi stava dilaniando.
Parlare con lei, anche solo al telefono, era opprimente. Ogni volta che mi dava il femminile rischiavo di scoppiare.
Un pomeriggio che ero di riposo, dopo l’ennesimo pianto, iniziai a scrivere d’impulso questa lettera per lei.
Ci impiegai due giorni per imbucarla e spedirla. Avevo paura. Pensai più volte di stracciarla, od addirittura bruciarla. Vengo da un piccolo paesino di campagna, il classico paesino dove tutti conoscono tutti e sanno tutto di tutti, dove la misoginia ed il patriarcato regnano. La mentalità di tutti, in quel posto, è davvero chiusa. Certo, mia madre aveva accettato la mia bisessualità, ma sono sposatə con un uomo e per lei. Possiamo quindi dire che ha dovuto accettare solo “l’idea”, null’altro. Capire ed accettare che la persona che hai sempre cresciuto come tuA figliA aveva un’identità di genere che tu non conosci e non comprendi…avevo paura che non ci riuscisse.
Alla fine, però, ho imbucato la lettera ed ho aspettato con paura ed ansia.
Qualche giorno dopo mi chiamò, dopo un paio di giorni che non ci sentivamo.
Sapevo, dal tono, che aveva ricevuto la lettera e che l’aveva letta. Però non mi disse nulla e la chiamata terminò molto velocemente, sia per la presenza di mio padre vicino a lei, che per il fatto che gli dissi che dovevo andare, anche se non era vero. Stavo semplicemente per scoppiare a piangere. Avevo il terrore che non avesse accettato.
Poi la mattina dopo mi richiamò nuovamente, mentre ero in fila alle poste a ritirare il pacco che mi aveva mandato.
Come prima cosa mi mandò a quel paese, perché l’avevo spaventata con quella lettera (ho problemi di ansia e ho sofferto di depressione in passato, arrivando anche ad avere pensieri suicidi). Poi mi disse che io ero sempre io, ero quella persona che lei aveva cresciuto ed amato, e che avrebbe continuato a farlo. Mi disse che non vedeva l’ora di abbracciarmi. Mi disse però che l’asterisco alla fine della lettera non gli piaceva, e che era difficile non vederci la “A”. Io dissi solo che dovevo chiudere, che era il mio turno.
La richiamai poco dopo, quando finalmente ero in macchina ed avevo smesso di piangere e metabolizzare.
L’aveva accettato.
Doveva ancora capire, certo. E sicuramente metabolizzare. Ma lo aveva accettato.
Quel giorno capii nuovamente la forza del suo amore per me.