La mia seconda nascita è iniziata un paio d’anni fa, dopo un periodo di profonda sofferenza e riacutizzazione di vecchi problemi alimentari: così come tante altre cose, la mia identità ha trovato lo spazio necessario per venire a galla durante la pandemia. Sol* con me stess* e con i miei pensieri, mi sono trovat* quasi constrett* a scoprire chi ero. Dico costrett* perché la prima fase di questo percorso è stata a dir poco difficile e intricata, tanto che quella che invece definisco come la mia “nascita sociale” è avvenuta solo negli ultimi mesi, non ancora completamente.
Nel 2020 ho iniziato a notare un’espansione dei temi di genere sui social, così che le persone non binarie che potevo sentire raccontarsi, per esempio attraverso video, diventavano sempre di più e sempre più diverse tra loro; in parte più simili a me, sia a livello estetico che concettuale.
La rappresentazione di persona nonbinary come androgina, legata sempre al concetto dicotomico maschile-femminile, era infatti ciò che mi metteva più in difficoltà: quando mi vedo, io non trovo un 50% e 50% di questi due generi, ma un essere a parte, che per la maggior parte del tempo non ne comprende nessuno e che ho capito relativamente recentemente non essere in alcun modo delegittimato dal mio aspetto fisico.
La mia crescita, lungo il corso di tutta l’infanzia e l’adolescenza, è stata costellata di imitazioni di quelli che mi venivano presentati come comportamenti, aspetti, abbigliamenti e interessi maschili: l’unico modo che conoscevo di non essere una donna, era quello di essere un po’ un uomo.
Quando finalmente mi sono trovat*, è stato come ripulirsi lo sguardo da tutto ciò e potersi vedere veramente, come trovare nello specchio il proprio volto per la prima volta, come partorirsi da sol*. Il mio corpo mi è apparso radicalmente diverso, ho iniziato a percepirmi come un’unità e ad amarlo profondamente, in un modo che va estremamente al di là del semplice piacersi.
Parlarne è stata, e resta, la difficoltà più grande. Principalmente perché sento di non esistere: lo sguardo dell’altr*, il suo riconoscimento nei nostri confronti, è infatti la necessaria conferma del nostro essere nel mondo e a me, in un Paese che non ha un linguaggio neutro, dei documenti specifici o anche una semplice informazione di base sul tema, questo sguardo manca tanto.
Immagino un mondo più svincolato dalle idee di corpi canoninci, dai concetti patriarcali e binari, da questi schemi rigidi che risultano comodi solo a chi si trova al vertice della piramide (e neanche del tutto) e dai cui siamo ancora permeati. Immagino di poter dare il mio contributo tramite quello che sarà il mio futuro lavoro, di riuscire a non stare con le mani in mano ad aspettare, di iniziare dalla mia decostruzione e ricostruzione individuale per poi sviluppare la capacità e gli strumenti che mi permetteranno di aiutare chi lo vorrà lungo lo stesso percorso.